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L’uomo è un animale razionale.
L’uomo è un animale a cui piace definirsi razionale.
In realtà, ogni giorno è vittima di centinaia di bias cognitivi che lo portano a pensare – ed agire – in maniera del tutto irrazionale. Questo accade soprattutto nei social media per via della scarsa attenzione che abbiamo durante il loro utilizzo.
Cosa sono i bias cognitivi?
I primi studi sui bias cognitivi risalgono agli anni ’70, quando Kahneman e Tversky avviarono un programma di ricerca per studiare il comportamento umano in situazioni caratterizzate da incertezza e ambiguità.
A seguito degli studi, nel 2011 Kahneman teorizzò l’esistenza di due sistemi (link post instagram) deputati l’uno alla gestione del pensiero razionale e l’altro alla gestione del pensiero intuitivo.
In particolare, il pensiero intuitivo è dominato dai bias cognitivi, ovvero quelle scorciatoie che ci permettono di agire più velocemente e con meno sforzo mentale.
I bias cognitivi sono dunque una nostra parte integrante. Anche chi crede di non esserne colpito, in realtà, si trova sotto l’effetto di un bias: il blind spot – situazione in cui riconosciamo l’impatto dei bias sul giudizio degli altri, ma non sul nostro.
Se impariamo a conoscere i bias e il loro ruolo nel processo decisionale, possiamo integrarli nella strategia di Social Media in modo da aumentare engagement e conversion.
Abbiamo già parlato di un particolare bias cognitivo, l’effetto IKEA, e di come utilizzare alcune leve psicologiche per persuadere il nostro target.
In questo articolo, invece, vi sveliamo i 5 bias cognitivi su cui fare leva per migliorare la performance delle campagne nei social media.

1. Effetto framing
Conosciamo tutti la storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, giusto?
L’effetto framing funziona allo stesso modo. Le scelte che prendiamo dipendono in gran parte dal modo in cui il problema viene formulato.
Un esempio è quello dell’avversione alla perdita. Per natura tendiamo ad essere più sensibili ad una perdita piuttosto che ad un guadagno.
Infatti, lo “sconto del 50%” sarà sempre meno convincente rispetto al “risparmiare il 50%”.
Quando si creano contenuti di questo genere, un ottimo modo per attirare l’attenzione dell’utente è quella di sottolineare eventuali perdite, piuttosto che potenziali vantaggi.
2. Effetto carrozzone
L’effetto carrozzone è forse tra i bias più significativi nei social media, perché rispecchia la tendenza di fare – o credere – qualcosa per il solo motivo che molte altre persone lo fanno – o lo credono.
Secondo diversi studi, l’impatto di questo bias nel mondo digitale dipende in gran parte dalla personalità dell’utente.
Se si è di fronte ad una personalità forte e autonoma, l’effetto carrozzone avrà un impatto minore perchè questo tipo di persona tende ad andare controcorrente in modo da distinguersi dalla massa.
A prescindere da caratteristiche puramente personali, nei social media è importante incoraggiare e incentivare gli utenti a lasciare recensioni (possibilmente positive).
Ogni volta che una persona legge un commento o una recensione positiva, la fiducia nei confronti del brand si rafforza e aumenta le probabilità di conversione.
3. Euristica della disponibilità
Questo bias ha a che fare con la disponibilità di informazioni che ha un individuo.
Si tratta di un processo di auto-rafforzamento in cui un’idea diventa sempre più plausibile attraverso la sua continua ripetizione.
Nei social media questo bias si traduce con la necessità di ripetere (con moderazione) i contenuti in maniera coerente.
Inoltre, importante è l’utilizzo di affiliate marketing o influencer marketing in modo da generare buzz e far in modo che più persone possibili parlino del brand o prodotto.
4. Effetto di ancoramento
L’attenzione non è illimitata. Per questo tendiamo a formare le nostre opinioni sulla base al primo pezzo di informazione che riceviamo.
E’ così che funziona l’effetto di ancoramento. Prendiamo la prima informazione che abbiamo disponibile e su di quella costruiamo il nostro giudizio.
Questo è particolarmente vero quando utilizziamo i social media perché il livello di attenzione è molto basso, la velocità con cui “scrolliamo” il feed è alta e la quantità di informazioni che riceviamo è elevata.
Il primo passo per sfruttare questo bias risiede nella capacità di differenziarsi: creare contenuti originali permette di attrarre l’attenzione dell’audience.
Dopodichè, se siamo riusciti a far fermare il target su un nostro post, bisogna far in modo che ciò che vede comunichi immediatamente il giusto messaggio.
Questo proprio perché quel pezzo di informazione costituirà la base per i giudizi e le decisioni.
5. Effetto del contesto
Secondo gli studi, la memoria è strettamente connessa al contesto. In altre parole, è difficile riportare alla memoria ricordi estrapolati dal contesto.
Questo è il motivo per cui quando ci troviamo fisicamente nei luoghi della nostra infanzia, i ricordi sono più vividi.
Allo stesso modo, si può far leva su questo bias ottimizzando la programmazione dei post in base al contesto in cui si trova la nostra audience.
Se per esempio si parla di un’azienda che vende condizionatori, una buona strategia è quella di aumentare la frequenza dei post nelle giornate particolarmente calde.
Se invece è un’azienda che si occupa di software e servizi, il momento migliore per pubblicare è durante l’orario lavorativo.
Perché? Perché il target di riferimento si troverà nel luogo o nel contesto ideale per la fruizione del prodotto/servizio pubblicizzato e la probabilità di conversione sarà più alta.

Conclusioni
Questi sono i principali bias cognitivi da tenere a mente quando sviluppiamo delle campagne nei social media.
Creare un post che attiri l’attenzione dell’audience non è semplice. Il design, il contenuto, il copy writing sono elementi certamente importanti.
I bias cognitivi sono fattori altrettanto critici quando si tratta di decidere cosa merita la nostra attenzione o meno, soprattutto nei social media, luogo in cui la nostra razionalità tende ad abbassare le difese e lasciare spazio agli automatismi.