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Perché oggi si parla spesso di community? Questa parola, tra le tante, prestate alla lingua italiana deve il suo successo proprio alla rete internet. Ma le community sono sempre esiste: dalle comunità tradizionali alle attuali 2.0, che tanto fanno presa sui brand, gli influencer e le aziende, cosa è cambiato? C’è sicuramente una chiave da svelare.
Se le community oggi sono l’obiettivo di molti sul web, anche gli enti locali e più in generale gli enti della pubblica amministrazione iniziano a cogliere l’importanza di costruirne una propria sui principali canali online. Qual è il valore aggiunto?
Prima di rispondere a questa domanda, ecco cosa troverai in questo nuovo articolo (se avete perso i precedenti articoli li trovate qui sul blog di Marketing Espresso):
- cos’è una community social;
- perché è importante costruirne una;
- quali sono i rischi e i vantaggi per un ente locale;
- bonus: alcuni commenti e sondaggi dai social.

Cos’è una community social
Per capire il valore di una community, non possiamo non definire prima di tutto cosa sia e quali siano le sue caratteristiche. Per farlo chiediamo aiuto direttamente all’Enciclopedia Treccani che definisce la community come un “Gruppo di persone che si incontrano, discutono e si scambiano informazioni attraverso la rete.”
Può sembrare noioso, ma ricercare le definizioni a volte è molto utile per definire i confini e gli strumenti di un determinato tema. Infatti, sempre la Treccani indica quali sono gli strumenti più utilizzati da una community su Internet: forum, chat e programmi di messaggistica istantanea. Ma sarà ancora così?
A quanto pare applicazioni come Whatsapp, Facebook messenger, WeChat, Skype, Reddit, che hanno come principali caratteristiche proprio la messaggistica istantanea, chat e forum, si collocano nella classifica del Digital Report 2020 di We Are Social e Hootsuite tra i social media più utilizzati in Italia.
Possiamo, dunque, dedurre che la socializzazione non si è estinta, ma ha cambiato strumenti e restringendo il tema solo al punto di vista comunicativo, questo ci permette di identificare la community come un’entità ricca di possibilità con cui ogni ente può confrontarsi.
La community come spazio chiuso
Ma quali sono i confini di una comunità online? Un gruppo Whatsapp tra amici o un gruppo Facebook tra sconosciuti possono considerarsi tali? A fare la differenza qui è l’influenza bidirezionale che questi due gruppi possono avere. Ma procediamo per gradi.
I membri all’interno delle community virtuali sono spesso accomunati da interessi generici (es. cinema, calcio, serie tv); lavoro o passioni (es. cucina, fotografia, marketing); adorazione per un personaggio famoso, influencer o un brand (es. amanti di Mc Donald’s); posizione geografica (es. “Sei di Roma se…”); appartenenza ad un partito politico (es. FdI, PD, 5S) e così via.
Questi interessi possono far incontrare gli utenti su qualsiasi tipo di piattaforma che permetta la creazione di chat o gruppi collettivi. Ma la vera differenza, oltre al numero di membri che sono all’interno di un determinato gruppo, come accennavo, è data dall’influenza bidirezionale: queste community possono essere influenzate da un brand, personaggio, influencer e permettono allo stesso tempo la sopravvivenza del brand e del personaggio stesso.
Avete mai visto un vip senza fan? O un influencer senza la sua community? Spesso questi due tipi di persone riescono a far presa su più utenti contemporaneamente senza che questi siano iscritti ad un gruppo o ad un canale specifico. Ovviamente per ogni interesse cambia il grado di influenza, ma l’importanza per ogni ambito di poter costruire e coltivare la propria comunità online, rimane.
Più la community è grande, più questa ha valore. Dunque, potenzialmente anche un gruppo di amici potrebbe diventare di valore per qualcuno, ma solo se questi riescono a costruire una comunità più ampia intorno ad un interesse comune e ad attirare l’attenzione di qualcuno con maggior influenza di loro.

Perché è importante costruire una comunità
Creare una community o interagire con una già esistente è, a questo punto, così fondamentale? Interagire con più utenti contemporaneamente, in un luogo parzialmente più limitato rispetto alle grandi pagine vetrina, crea un senso di appartenenza e fidelizzazione che si ottiene con più difficoltà tramite una comunicazione di tipo aperta.
L’idea di comunicazione riservata che si produce all’interno del gruppo fa sentire i membri parte di qualcosa, soprattutto se le attività proposte li coinvolgono in prima persona (ad esempio se chiediamo il loro parere per prendere una decisione o se si avvia un dibattito a partire dalle loro idee).
A proposito di questo, ricordi qual è il fattore da non dimenticare mai per la buona riuscita di una community? (vedi il post su Instagram di Marketing Espresso se hai perso questo tip): dietro ogni utente c’è una persona.
È importante, infatti, ricordare che il mondo online e il mondo offline si sono ormai mescolati e anche le dinamiche che si verificano nella vita reale si replicano in buona parte online. Le leve che reggono una comunità offline sono riproposte anche sui social (vedremo nel prossimo step, a tal proposito, quali sono i rischi di una community mal gestita).

Quali sono i rischi e i vantaggi per un ente locale
Nel vasto spazio dei social, in particolare su Facebook, sono molti i gruppi legati al territorio. Per ogni comune, frazione, strada spesso ritroviamo online il gruppo di riferimento.
Su questo punto, se vuoi approfondire il tema, ti consiglio di leggere il caso delle Social Street analizzato da Cristina Pasqualini nel Rapporto “Vicini e connessi. Rapporto sulle social street a Milano“.
Ma la vera domanda, da cui il titolo di questo articolo, è se gli enti pubblici possano trarre un valore dall’interazione con tali gruppi uniti dalla posizione geografica (caso uno). Oppure se, invece, di interagire con gruppi già esistenti, non sarebbe più utile invitare i cittadini a seguire una community dell’ente stesso (caso due).
Primo caso
Nel primo caso, prendendo come punto di riferimento la piattaforma di Facebook, gli enti attraverso le loro pagine ufficiali si troverebbero ad interagire con una realtà non creata da loro e retta da dinamiche interne che non possono controllare (ad esempio quelle politiche). Il rischio è quello di perdere la legittimità che regge il carattere istituzionale dell’ente.
Interagendo con questi gruppi, poiché spesso parliamo di community numericamente molto vaste, l’ente può probabilmente limitarsi solo a dare informazioni di carattere generale (es. nuove procedere, eventi, chiarimenti su temi di dibattito pubblico), senza intromettersi oltre.
Secondo caso
Nel secondo caso, invece, è l’ente stesso a costruire una sua community grazie al lavoro di comunicazione svolto nel tempo e alla sua presenza sulle piattaforme online. Con un buon seguito, l’ente può decidere di creare un gruppo o un canale apposito in cui invitare tutti i cittadini ad iscriversi. Sono molti gli esempi di comuni che comunicano attraverso un canale Telegram, meno sono invece gli esempi di gruppi Facebook gestiti direttamente dai comuni.
Sul social di Mark, si predilige l’utilizzo della pagina istituzionale per una comunicazione più di tipo vetrina e meno interattiva. Ma quali possono essere i vantaggi e quali i rischi di creare una community?
I vantaggi li abbiamo in parte specificati in precedenza: sicuramente un accrescimento del senso di appartenenza del cittadino, una comunicazione più chiusa attraverso il quale poter strutturare un maggior confronto con l’utente e infine uno scambio di info e materiali più diretto.
È importante, però, sottolineare anche i rischi che un ente locale può correre con la creazione di una community senza regole, moderazione e strategia. Un gruppo lasciato alla confusione dei contenuti e delle polemiche può potenzialmente creare più danni di un singolo post sbagliato sulla pagina.
Elementi utili
Dunque, un ente locale che vuole creare una propria community di riferimento deve:
- Avere un obiettivo su cui basare la propria strategia (differente dalla pagina);
- Avere chiare le regole con cui moderare il gruppo e renderle trasparenti ai membri (che devono accettarle prima di entrare);
- Stabilire una social media policy interna all’ente con cui moderare i dibattiti che si verranno a creare nel gruppo (differente da quella della pagina);
- Utilizzare un profilo ufficiale dell’ente per pubblicare i contenuti e non profili personali degli assessori, consiglieri, sindaco;
- Collegare e rimandare la community ai canali principali (es. sito, pagina Facebook);
- Aggiornare in modo costante la community per evitare il calo di attenzione;
- Stimolare il sano dibattito (questo potrebbe essere un modo per educare il cittadino al buon utilizzo dei mezzi digitali).

Bonus: alcuni commenti e sondaggi dai social
Prima di scrivere questo articolo ho lanciato un sondaggio sul mio profilo Instagram per scoprire se effettivamente i miei coetanei fossero già iscritti ad un gruppo Facebook del loro territorio. Vi riporto qui alcuni dati interessanti (ad ogni domanda hanno risposto una media di 30 persone):
- Il 62% (vs 32%) di coloro che hanno risposto alla prima domanda del sondaggio hanno dichiarato che il loro comune non ha un gruppo Facebook gestito dall’ente;
- Il 62% (vs 38%) ha risposto di essere iscritto ad un gruppo legato al territorio;
- L’89% (vs 11%) ha dichiarato che il gruppo non parla di un tema specifico (es. politica o sport) ma è di carattere generico;
- Solo il 25% (vs 75%) ha affermato che il gruppo ha regole chiare, dunque il restante ha dichiarato che la gestione è completamente allo sbando;
- Infine, l’82% (vs 18%) ha risposto che è molto utile avere un gruppo Facebook del territorio.
Questi dati, che non possono essere ovviamente troppo rappresentativi a causa del campione ristretto, sono comunque una prima indicazione per ragionare su una strategia che permetta agli enti pubblici di interagire di più con i cittadini. Gli stessi dati sono inoltre una prima conferma di alcuni commenti ad un mio tweet da parte di esperti, studiosi di comunicazione pubblica e social media manager di grandi comuni. Ne riporto di seguito alcuni su cui abbiamo cercato di ragionare:
Christian Tosolin, social media manager del Comune di Triste
Un’Amministrazione pubblica non deve intervenire su gruppi locali ma deve raggiungere l’obiettivo di costruire una community intorno ai propri canali. La cosa peggiore è quando l’agenda politica di un Sindaco è dettata dai gruppi Facebook
— Christian Tosolin (@tosochris) February 17, 2020
Roberto D’Alessio, social media manager del Comune di Roma
Vero, purtroppo la moderazione di quei gruppi non sempre ha una social media policy compatibile con l’ente di riferimento https://t.co/MTqUtleZvw
— Roberto D’Alessio (@ComunicazionePA) February 17, 2020
Massimo Marigo, giurista e digital strategist
Social è anche sociale ed interagire con una community è un bene anche per la PA #pasocial
— Massimo Marigo (@massimoemme) February 17, 2020
Alessandro Fumagalli, vicesindaco del Comune di Busnago, web editor e blogger e Stefania Piumarta, community manager
questo sempre: l’Ente non prende le parti di nessuno
— Alessandro Fumagalli (@ilmemoriAle) February 17, 2020
Maria Giorgia Vitale, social media manager e giornalista pubblicista
Secondo me sì, è importante per conoscere meglio le persone e se esistono davvero dei problemi reali su cui intervenire e migliorare il territorio
— Maria Giorgia Vitale (@mariagiorgiavit) February 17, 2020
Con questi commenti vi do appuntamento al prossimo articolo e sui miei canali social per un maggior confronto.