Dall’interruption al permission marketing

L'approccio di un brand verso il cliente determina un tipo diverso di marketing: come si arriva dall'interruption al permission marketing?

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Qual è il passaggio dall’interruption al permission marketing? Quale la linea di demarcazione? Acquisire visibilità e attirare i clienti a sé è un cammino impervio per un brand. Sin dall’inizio dell’impostazione della strategia di marketing, un brand ha bisogno di capire quali obiettivi raggiungere e come intende costruire il proprio content marketing.

Di sicuro non bastano vision e mission per differenziarsi dalla concorrenza. Soprattutto che tipo di approccio il brand vuole creare con il pubblico? Quello amichevole e confidenziale oppure quello marchettaro che vuole vendere a tutti i costi qualcosa?

La definizione di pubblico nel corso della storia

Il modo di fare marketing nel corso del tempo ha seguito logiche diverse, dettate dagli strumenti di comunicazione a disposizione, dagli interessi del pubblico e dalla relazione con la definizione di pubblico stesso. Il termine “pubblico” veniva utilizzato all’inizio come contrario di “privato”.

Col tempo la connotazione di pubblico si è contrapposta a quella di moltitudine e di massa. La prima, intesa come gruppo di persone accumunate dal contagio emozionale, rispetto alla seconda, caratterizzata da eterogeneità e assenza di organizzazione. Tutte queste accezioni di pubblico sono cambiate negli anni.

L’avvento dei moderni mass media come la radio e poi la tv ha determinato una più semplice catalizzazione dell’attenzione del pubblico. Dal pubblico, inteso come audience che è influenzabile e facile da manipolare si passa a pubblico come insieme di persone capaci di orientare l’impatto dei media secondo Katz e Lazarsfeld.

L’arrivo di Seth Godin e il passaggio dall’interruption al permission marketing

Proprio questa distinzione si identifica in ambito marketing nel ricorso a strategie diverse: prima di interruption e poi permission. All’inizio, in accordo, con quanto spiegato sopra, si crede sia semplice interrompere un programma con un un annuncio pubblicitario. Dopotutto, il pubblico destinatario è considerato come un fruitore passivo, facile da manipolare perché ben disposto ad ascoltare.

Solo negli anni ’90, questo approccio fu considerato non più valido. Fu, infatti, Seth Godin a teorizzare e a fornire un’alternativa all‘interruption marketing. Il termine stesso indica l’intenzione di “interrompere” qualcosa che sta accadendo per catturare l’attenzione su altro.

Immaginiamo di essere in macchina e di ascoltare la nostra playlist preferita quando l’ascolto viene interrotto da un jingle pubblicitario ogni 30 minuti. La ripetizione di questo evento può generare in noi, fastidio perché lo riteniamo invasivo. Quindi la soluzione? È il passaggio dall’interruption marketing al permission marketing.

Il marketing del permesso

Il permission marketing è orientato ad instaurare una relazione diversa con il pubblico. Esso non è più considerato come passivo e ingenuo fruitore. Il pubblico, al pari del brand, può essere un creatore di contenuti, dando vita a UGC (User Generated Content).

Inoltre, ci sono due nuovi fattori da considerare: il tempo e il passaggio da un marketing content-centrico ad un marketing consumer-centrico. In particolare, oggi, il pubblico-consumatore è soggetto ad un bombardamento informativo, il cosiddetto information overloading. Ciò fa sì che il pubblico non abbia tempo per leggere, guardare o ascoltare tutti i messaggi che riceve.

È necessario filtrare le informazioni per non diventare confuso. Dunque, l’unico modo per catturare l’attenzione del consumatore, non è “interromperlo”, bensì instaurare un rapporto di amicizia e fiducia. Non a caso, Seth Godin paragona il rapporto tra il marketing delle aziende e i consumatori come un matrimonio. A questo punto il marketing diventa interattivo.

I cinque step del permission marketing

Secondo la logica del permission marketing che si fonda sul principio “pull” e non più “push” tipico dell’interruption marketing, il metodo da applicare nel passaggio dall’interruption marketing al permissione marketing è il seguente:

  1. Creare l’occasione per suscitare l’interesse del pubblico e attrarlo a sè
  2. Una volta catturata l’attenzione, sfruttare il momento per informarlo sui servizi o prodotti che si intendono offrire
  3. Trasformare le visite al proprio sito in leads
  4. Quindi far sentire il pubblico importante offrendogli contenuti esclusivi
  5. La fidelizzazione non finisce ma va mantenuta nel tempo
I cinque step del permission marketing secondo Seth Godin

L’analisi degli step

Analizzando ciascuna fase del permission marketing, cerchiamo di capire cosa in senso pratico un’azienda o un brand deve fare. Considerando il primo punto, cosa vuol dire suscitare attenzione? Un esempio concreto è l’email marketing attraverso cui l’utente/consumatore ci autorizza, fornendo il suo indirizzo mail, a ricevere la nostra newsletter con informazioni e consigli che per lui possono risultare utili. Un ulteriore modo per suscitare interesse, si ha quando al visitatore di una pagina, si chiede se accetta ricevere notifiche in merito ai contenuti della stessa.

Nella seconda fase, siamo felici che l’utente abbia accettato di seguire la nostra pagina o ricevere aggiornamenti da noi su temi che gli interessano, quindi cerchiamo di sfruttare l’occasione per fare un buon brand storytelling. L’obiettivo è entrare in sintonia con l’utente in modo da presentargli i nostri servizi e magari suggerirgli un’offerta personalizzata.

Eccoci arrivati al terzo momento, quello cruciale e altrettanto delicato. Perché? Beh, se l’utente ha deciso di ascoltarci fino ad accettare una nostra offerta, vuol dire che è realmente interessato. Infatti, l’interesse si trasforma in visite al sito web. Questo genera per noi traffico verso il sito e allo stesso tempo ci dice che dobbiamo rendere unica l’esperienza dell’utente nel corso della navigazione tra un’interfaccia e l’altra del sito.

È importante che l’utente non abbandoni dopo un minuto la landing page. In questo caso giocano a nostro favore o meno una serie di variabili: la site map, i colori, le immagini, eventuali pop up, la velocità di caricamento dei contenuti, il tono di voce e una scrittura inclusiva. Se, e solo se, l’utente sarà colpito, si avvererà la magia e quindi l’acquisizione di un utente che diventa cliente.

Arrivati al quarto passaggio, non dobbiamo pensare che sia finita. Eh, no! L’utente ha acquistato il nostro servizio, ma è qui che bisogna affinare la strategia. Il cliente non vuole un servizio qualsiasi, bensì un servizio che si adatti alle sue esigenze e alla sua realtà unica. Allo stesso modo non dobbiamo pensare che una volta ingaggiato quel cliente sarà fedele a noi per sempre. Il cliente è come una moglie esigente; ha bisogno di essere corteggiata sempre ed essere stupita con novità.

Quindi eccoci arrivati al quinto e ultimo step in cui coltivare i propri clienti è più difficile che acquisirli. Mantenere i clienti richiede uno sforzo superiore, fatto di pazienza, costanza e autenticità.

Conclusioni

Cosa ci insegna questa analisi quindi?

Non bisogna sottovalutare l’aspetto del conversational marketing. È importante che le aziende creino un dialogo con il pubblico. Come? Attraverso i chat bot, i social media, le live chat. Ma ancor prima di dialogare bisogna imparare ad ascoltare.

Sappiamo che molte aziende si sentono arrivate e che, ahinoi, soprattutto quelle molto strutturate, difficilmente sono propense a cambiare strategie. La loro regola d’oro è “Abbiamo sempre fatto così!”. Invece, dovremmo, noi in primis, non sentirci mai arrivati e imparare anche dai grandi brand che osservano e ascoltano il proprio pubblico.

Soprattutto in un mondo liquido, come direbbe Baumann in cui tutto cambia così rapidamente, nessuna regola rimane in eterno: le mode e i bisogni cambiano per fortuna. Basta saperli interpretare, forse in questo sta il segreto. Vi lascio qui il link ad un TED Talk in cui ci viene spiegata l’arte di ascoltare. Buona visione!

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