Disruptive Marketing: quando osare può essere la carta vincente

Fare disruptive marketing non è semplice, ma a volte osare può essere la carta vincente. Vediamo gli esempi più noti di questa strategia.

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Creare qualcosa di “disruptive” non è semplice. Ma a volte osare può essere la carta vincente. Vediamo insieme questa strategia di marketing e alcuni tra gli esempi più noti. 

Alcune strategie di marketing hanno segnato la storia di questa disciplina e rimangono “ever green”. A volte però, in particolar modo durante l’era “consumer-centric”, bisogna avere il coraggio di osare e di “ribaltare” i cari vecchi approcci tradizionali. 

Molti brand hanno infatti iniziato a ripensare al proprio modo di fare comunicazione sotto una chiave di lettura più innovativa e fuori dagli schemi. 

Campagna Burger King
Campagna Burger King

La necessità di creare qualcosa di “dirompente” nasce come risposta alla situazione odierna; in una società di consumatori sempre connessi, soprassaturati e con una soglia di attenzione sempre più bassa, vince chi smette di seguire le regole. 

Il “disruptive marketing” è più di una provocazione, di un passa parola virale o di una campagna anticonvenzionale. Si tratta di una strategia che ribalta totalmente la nostra percezione dell’advertising, sperimenta nuove tecniche e sfida le nostre convinzioni sul mondo del marketing. 

Si può pensare all’aggettivo su una più ampia scala – quella della “disruptive innovation” – e immaginare come alcuni brand abbiano cambiato le regole del gioco della propria industria, e non solo del loro modo di fare pubblicità. 

Qualche esempio? Wikipedia ha rivoluzionato l’approccio all’enciclopedia, Netflix ha cambiato le regole del gioco dello streaming e Spotify ha sfidato l’industria musicale per creare l’innovazione di cui tutti noi avevamo bisogno. 

Quando “osare” funziona

Partiamo con il dire che “osare” non sempre funziona. Per creare una strategia di marketing disruptive è importante conoscere il proprio pubblico di riferimento, ricordarsi i valori distintivi del proprio brand e comprendere che non tutte le industrie sono uguali. 

Una campagna “sconvolgente” è accessibile, conveniente, attira l’attenzione e genera curiosità. Si tratta di essere il “first-mover”, bisogna dunque lanciarsi in qualcosa di nuovo, mai fatto prima. Viene da sé, quindi, l’importanza di essere credibili, autentici e creativi.  

OOH The Economist
OOH di The Economist

Il disruptive marketing è contro le regole, dunque non esiste una regola precisa per farlo. 

Può assumere diverse forme e stili, l’importante è rivoluzionare. Di seguito, abbiamo riportato alcuni tipi di disruptive marketing. 

La Call To Action disruptive

Se l’obiettivo tradizionale della call to action è quello di guidare l’utente favorendo la conversione, una call to action disruptive sarà quella che spinge il consumatore a fare qualcosa di molto lontano dall’interesse del brand. 

In un mondo in cui chiunque vi consiglia di acquistare qualcosa, avete mai visto un brand che vi incita a non farlo? 

Patagonia, in occasione del Black Friday 2011, invita i consumatori a non compare un loro prodotto.

L’obiettivo di sensibilizzazione è chiaro appena si distoglie lo squadro dalla call to action “shock” e si legge il testo dell’advertising: Patagonia suggerisce delle buone abitudini di consumo per ridurre l’impatto ambientale, come riparare una vecchia giacca, regalare o riciclare un capo che non si indossa più. 

Con questa campagna “disruptive”, il brand è riuscito a posizionarsi nelle menti dei consumatori come “green”, ribadendo l’importanza della sua vision ecosostenibile e raggiungendo risultati strabilianti (che abbiamo analizzato qui). 

Advertising Patagonia

… ma anche REI

Approccio simile è quello utilizzato da REI, brand di attrezzatura outdoor, che durante il Black Friday del 2015 consiglia ai clienti di trascorrere la giornata all’aria aperta, invece che dentro ai negozi o a fare shopping online. 

Scelta coraggiosa e inaspettata durante uno dei periodi dell’anno più profittevoli per le aziende, ma dal messaggio importante e in linea con i valori del brand. 

Lo stupore inizialmente creato da una presa di posizione così “disruptive” contro il consumismo americano ha lasciato presto spazio a risultati sbalorditivi. 

Fonte: https://www.edelman.com/work/rei-opt-outside

Spostiamoci ora sull’industria del lusso, quella che punta a target con una propensione alla spesa più alta. Una call to action ricorrente è quella di prestare attenzione ai prodotti contraffatti che, oltre ad essere un crimine, creano un grosso danno per le imprese. 

E se fosse proprio il brand a consigliarti di comprare il “fake”? 

È ciò che ha fatto Diesel, con la sua campagna “Go with the fake”. Siamo a New York, in una strada nota per avere negozi di abiti usati o contraffatti. È proprio qui che il brand apre il suo fake pop-up shop, chiamato “Deisel”. 

Con lo scopo di far riflettere coloro che acquistano abiti solo per il valore del marchio, il video della campagna dimostra che molti fortunati clienti hanno acquistano dei pezzi unici (anche se il loro intento era portarsi a casa vestiti “fake”). 

Dunque, da un’idea fuori dagli schemi è nato qualcosa di esclusivo. 

Campagna Diesel “Deisel”

La Customer Experience disruptive

Anche l’esperienza lungo il journey del consumatore può assumere nuove forme, lasciandosi alle spalle le strategie più convenzionali. 

Molti brand fanno sempre più leva sui video – che diventano quasi sempre virali – di esperimenti sociali che coinvolgono persone “reali”; questi, infatti, funzionano perché non sono situazioni preparate in precedenza e creano un senso di empatia negli spettatori che si immedesimano con maggiore facilità. 

Alcuni “esperimenti sociali” sono stati così lungimiranti da essere definiti “disruptive”.

Il distributore di felicità firmato Coca-Cola

Se pensiamo a Coca-Cola, una delle prime associazioni che ci viene in mente è sicuramente quella della “happiness”: grazie ai numerosi slogan, a Babbo Natale e a diverse campagne iconiche, Coca-Cola è, nell’immaginario collettivo, sinonimo di allegria e altruismo. 

La felicità di Coca-Cola può colpire ovunque: la campagna “The happiness cashier” prevedeva l’istallazione di un distributore speciale che dava la possibilità alle persone di prelevare 100 euro, solo a patto di condividere i soldi con altre persone meno fortunate. 

La reazione dei passanti è stata filmata e ha generato un video molto commovente. Non si parla del prodotto, non si vede nemmeno. Si tratta di un’esperienza fuori dal comune, basata sul valore della condivisione che, noi consumatori, sappiamo bene essere parte fondante di Coca-Cola. 

Coca-Cola “Cashier of Happiness”

Un altro esperimento sociale che ha fatto tanto parlare di sé è quello di Dove Beauty.  La campagna “Sei più bella di quanto pensi” è diventata l’esempio di un marketing delicato ma dirompente. 

In una società sempre più consapevole del peso dei canoni estetici, il brand è riuscito a dimostrare che le donne hanno realmente una percezione distorta del proprio aspetto fisico. E non l’ha fatto con le tradizionali strategie di comunicazione, ma ha portato in scena donne “normali”. Accomunate da un problema universale, sono diventate fonte d’ispirazione per tante altre persone. 

Dove Beauty “You’re more beautiful than you think”

Il Social Media Management disruptive

Possiamo parlare di “disruptive” anche quando il tono di voce di un brand si allontana dal tradizionale approccio formale, serio e professionale, per utilizzarne uno più ironico e stravagante. Fanno ridere e diventato virali proprio quelle comunicazioni che “non ci aspetteremmo mai” da un’azienda. 

Abbiamo già parlato in questo articolo qui, di come un brand di fast food sia stato in grado di farsi conoscere ed amare prendendo in giro i consumatori, creando campagne controcorrenti e atipiche. O ancora qui, abbiamo affrontato l’interessante social media strategy di Unieuro.

Ormai sono sempre più i social media manager che scelgono di adottare una strategia provocatoria e un tono di voce innovativo. Tra questi è degno di menzione Ryanair, il quale sembra utilizzare i social media della compagnia come se fossero profili personali, creando contenuti simpatici e poco “politicamente corretti”. 

Divenuto “star” di Tiktok, il brand ha creato numerosi contenuti che hanno facilmente creato viralità e buzz. Il rischio che non tutti abbiano lo stesso senso dell’umorismo c’è e ci sarà sempre, ma sicuramente Ryanair è stato in grado di crearsi uno stile riconoscibile e utilizzare la propria comunicazione come punto di differenziazione. 

Tweets di Ryanair

Gli User Generated Content disruptive

Gli UGC sono contenuti liberamente creati dagli utenti e condivisi sulle varie piattaforme social. Ci sono stati casi in cui una campagna è stata così tanto “disruptive” da portare gli utenti stessi a essere portavoce della rivoluzione. 

Non possiamo non menzionare la campagna di Volvo durante il Super Bowl 2015: la più grande intercettazione mai avvenuta prima. 

La ribellione prevedeva pochi semplici passi ma, soprattutto, solo gli utenti come protagonisti: l’azienda di automobili ha chiesto ai suoi followers di twittare l’hashtag #VolvoContest ogni qualvolta apparisse in televisione una pubblicità di competitor. 

Dunque, mentre gli altri brand spendevano cifre strabilianti per mandare in onda il proprio spot durante il Big Game, i consumatori erano distratti nel creare contenuti a nome di Volvo. 

Il tweet andò velocemente in tendenza e i picchi furono registrati proprio durante le pubblicità “nemiche”. 

Fonte: https://www.linkedin.com/pulse/interception-how-volvo-disrupted-way-we-attract-jovel-cipriano/

Conclusione

Abbiamo visto insieme alcune tra le campagne che hanno fatto più parlare di sé grazie al loro modo di essere “disruptive“. Campagne in cui i brand “hanno vinto” grazie al loro coraggio di osare.

E voi conoscete altre campagne di “disruptive marketing”?

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