Neuromarketing: applicazioni nel settore del food

L’importanza delle tecniche di neuromarketing nel mondo del food, in cui le sensazioni fanno la differenza.

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Agli inizi degli anni 2000, viene organizzato un blind test che si configura come il più celebre esempio di neuromarketing applicato al settore food & beverage. Il test sottopone al consumatore una scelta tra due tazze bianche. In una è contenuta una Pepsi; nell’altra una Coca-Cola.

I risultati dimostrano che la maggioranza delle persone coinvolte, pur non sapendo inizialmente di quale bevanda si tratti, preferisce la Pepsi. Al contrario, quando viene mostrata la confezione del prodotto ai soggetti, la maggior parte mostra una preferenza per la Coca-Cola. Essa è convinta che il sapore migliore appartenga a questa bevanda.

Secondo il neuromarketing, la maggior parte dei processi decisionali avviene in maniera automatica e senza consapevolezza del consumatore. I questionari del marketing tradizionale forniscono delle risposte che rappresentano mere razionalizzazioni di decisioni già prese inconsciamente.

È necessario, però, avere indicazioni attendibili sulle reali motivazioni del consumatore. Per questo, è sempre più indispensabile monitorare l’attività delle diverse aree cerebrali del soggetto durante l’esecuzione di un acquisto mediante la moderna strumentazione scientifica.

neuromarketing food example

Nel blind test, viene utilizzata la tecnica della risonanza magnetica. Essa è funzionale all’analisi dell’attività cerebrale dei partecipanti in relazione ai diversi stimoli cui sono sottoposti. Infatti, in corrispondenza della visualizzazione del packaging di Coca-Cola si attiva la corteccia prefrontale mediana. Da quest’ultima dipende il meccanismo di discernimento e valutazione. La mente dei consumatori, in effetti, associa la Coca-Cola ad una serie di valori. Non solo, ma a un intero immaginario costruito negli anni.

Ma cos’è il neuromarketing?

Il termine neuromarketing (dal greco νεῦρον, neuro, e marketing) presenta diverse definizioni. In generale, si intende l’applicazione delle conoscenze e delle pratiche neuroscientifiche al marketing. Ha lo scopo primario di analizzare i processi inconsapevoli che avvengono nella mente del consumatore. Processi che influiscono sulle decisioni di acquisto o sul coinvolgimento emotivo nei confronti di un brand.

Si tratta, dunque, di affiancare soluzioni complementari alle ricerche di mercato tradizionali. In questo modo, si superano i possibili limiti che da queste ultime possono derivare, sia nel marketing moderno che nel settore digital.

Cenni storici sul neuromarketing

1960: Il ricercatore Herbert Krugman è il primo a interessarsi allo studio del neuromarketing. Egli sfrutta la misurazione delle dilatazioni spontanee delle pupille nei clienti nei suoi esperimenti. Infatti, le ritiene un indicatore di interesse per le persone che sono alla ricerca di prodotti o osservano delle pubblicità.

2002: Il ricercatore olandese Ale Smidts è il primo a coniare il termine neuromarketing, introducendo sistemi innovativi per comprendere gli stimoli cerebrali del consumatore.

È solo a partire dal 2003, però, che alcune aziende americane incominciano a proporre dei veri e propri servizi di consulenza relativi al neuromarketing.

neuromarketing

Ambiti di applicazione del neuromarketing

Uno dei settori principali in cui il neuromarketing viene sfruttato è quello commerciale. Nei punti vendita, infatti, varie tecniche vengono utilizzate per comprendere in che modo la collocazione e la visibilità del prodotto influenza la scelta.

Non solo; poiché vi sono altri settori in cui è spesso utilizzato:

  • Nel branding, per valutare la reazione emotiva del consumatore in relazione a un determinato prodotto aziendale.
  • Nella pubblicità, per determinare come il consumatore reagisce alla presentazione video di un prodotto.
  • Nel digital (esperienze online) per esaminare come un sito web influenza le emozioni del visitatore, (sui social network) per condividere un brand rendendolo sempre più accattivante.
  • Nel design, per valutare come i consumatori reagiscono dinanzi a particolari prodotti e innovazioni.

Neuromarketing e il settore del food

Molte ricerche di neuromarketing condotte negli ultimi anni hanno permesso di comprendere il ruolo della comunicazione nel guidare le scelte dei consumatori. Focalizzandosi in modo particolare sul settore food, molti sono gli studi che dimostrano come la comunicazione possa contribuire persino a cambiare la percezione del gusto dei prodotti.

Negli ultimi anni ci sono stati molti sviluppi in questo campo. Sono nate varie discipline, quali la cosiddetta neurogastrofisica (l’unione tra il neuromarketing e la gastrofisica) che punta ad analizzare la reazione emotiva provocata da stimolazioni esterne al gusto.

Nel settore alimentare, infatti, l’esperienza di consumo spesso implica una stimolazione che va oltre il sapore del prodotto.

  • Vi è di solito anche una stimolazione di tipo tattile. Essa avviene quando si tocca una confezione per aprirla o quando si prende in mano la forchetta.
  • Vi è inoltre quasi sempre una stimolazione di tipo visivo, se si pensa all’aspetto del prodotto e/o all’impiattamento.
  • Ma anche di tipo uditivo, se si pensa al suono di apertura di una confezione o a quello prodotto dalla masticazione.

Le applicazioni del neuromarketing al settore food consentono, dunque, di comprendere in che modo diversi elementi possono incidere sulla percezione del sapore e della qualità.

Tra i vari elementi vi sono: la musica, la forma dei prodotti, i colori, la loro presentazione o il loro prezzo. Ed è per questo che i player dell’universo del food e in particolare del settore della ristorazione possono far leva sulle emozioni dei clienti attraverso il neuromarketing. In questo modo, si potrebbero creare delle esperienze sensoriali degustative a 360°.

Best practices per l’utilizzo del neuromarketing nel settore food (ristorazione)

  • Curare il design dei menu. L’obiettivo deve essere quello di facilitare il processo di scelta. Esso può infatti diventare complesso quando ci si ritrova di fronte a una “lista infinita” di alternative, con un tempo limitato a disposizione per sceglierne una. Non si dovrebbero inserire più di sei/sette alternative per tipologia di portata. Nel caso in cui vi fossero molti piatti disponibili, si potrebbero ideare menu separati. 
  • Condizionano l’esperienza anche elementi quali il contatto con lo staff o l’illuminazione dell’ambiente. È importante che la scelta delle luci sia allineata al concept del ristorante. La luce deve guidare le persone. Può essere quindi utile posizionare una luce più forte nella zona in cui si accolgono i clienti. Gli ospiti, così, saranno portati a fermarsi lì. DIventerebbero più propensi ad attendere l’arrivo del cameriere, evitando di addentrarsi nella sala in cerca dello staff.
  • La scelta dei profumi è fondamentale. I profumi, infatti, raggiungono direttamente alcune aree del cervello senza essere processati in maniera razionale. Se un ristoratore intende aumentare la vendita dei dolci potrebbe posizionare dei profumatori alla vaniglia/cioccolato all’interno dei bagni. Tendenzialmente le persone si recano in bagno verso la fine della cena. Una volta ritornate al tavolo, il loro cervello richiama a livello inconscio l’odore del profumo appena sentito in bagno, quando legge sul menu il nome di uno dei dolci alla vaniglia/cioccolato. Quest’attivazione inconsapevole fa sì che i clienti siano più inclini ad ordinare un dolce.
  • Altri dettagli possono far sì che le persone percepiscano un pasto buono come ancora più buono. I ristoratori dovrebbero prestare molta attenzione ai clienti che si recano da soli al ristorante. Potrebbe essere utile far precedere nelle ordinazioni quella di chi mangia da solo, poiché non essendo in compagnia potrebbe percepire l’attesa come più lunga rispetto a individui in gruppo.

Un esperimento di neuromarketing applicato al food

Tra gli aspetti che possono condizionare anche a livello inconscio la scelta di un prodotto vi è il packaging. A tal proposito, è interessante citare la ricerca condotta da BrainSigns in collaborazione con Agroter in un supermercato di Roma. Essa prova ad analizzare limpatto di differenti packaging sulla percezione di alcuni prodotti del reparto ortofrutta e i loro effetti sul comportamento d’acquisto.

Vengono, così, create tre versioni grafiche di un bauletto di mele Golden. Nella prima versione si sceglie il colore avana per l’intero packaging, per evocare la naturalezza della frutta. Nella seconda è utilizzato uno sfondo bianco con la scritta “mele Golden”. Infine, nella terza è presente il disegno dei volti dei produttori.

Durante la percorrenza dei vari reparti, i partecipanti indossano particolari sensori per l’acquisizione del segnale elettroencefalografico e degli occhiali di eye tracking per il monitoraggio del movimento oculare. All’uscita del supermercato, invece, devono rispondere a questionari. In un documento pubblicato da BrainSigns, è riportato che tali tecnologie sono utilizzate per «misurare il coinvolgimento emotivocognitivo e l’attenzione focale dei partecipanti in diversi reparti e in diverse condizioni di esposizione di layout, di packaging e di presenza di promoter all’ingresso del negozio».

Risultati

I risultati rivelano che il 60% dei partecipanti acquista le mele con il packaging contenente il volto e i paesaggi. Tuttavia, quando viene chiesto loro cosa ricordano sia raffigurato sul bauletto di mele acquistato, pochi clienti ricordano la presenza di tali elementi grafici.

L’eye tracking permette di rilevare come l’immagine del volto degli agricoltori sul packaging tenda ad attrarre maggiormente lo sguardo dei passanti.

Infine, nonostante le mele siano identiche, così come il loro prezzo, quando viene chiesto ai partecipanti perché decidano di acquistare quel bauletto in particolare, alcuni di essi sostengono di farlo perché le mele sembrano “più belle” o “più convenienti”.

Ulteriori obiettivi

Un altro obiettivo dell’esperimento è aumentare il coinvolgimento emotivo dei consumatori nei confronti di un brand di pomodori. Difatti, metà del campione interagisce all’ingresso del punto vendita con un agricoltore che racconta la propria storia e alcuni dettagli relativi alla produzione del prodotto che poi avrebbero ritrovato nel supermercato. In questo esperimento sono stati utilizzati anche sensori per la misura dell’attività cardiaca e della sudorazione delle mani. L’obiettivo è quello di poter misurare il livello di emozione provata durante l’acquisto.

Le persone che acquistano quei pomodori e che hanno avuto l’incontro con il produttore all’ingresso lo fanno con un coinvolgimento emotivo molto più elevato rispetto a quelli che invece non lo hanno conosciuto. I primi acquistano inoltre di più rispetto ai secondi.

Conclusioni

Simili risultati non possono che evidenziare l’utilità del neuromarketing, in questo caso nel settore del food. Esso risulta fondamentale per comprendere le motivazioni che spingono gli individui all’acquisto e che spesso non vengono dichiarate nelle interviste e nei sondaggi “tradizionali”.

Negli ultimi anni, le conoscenze e gli studi di neuromarketing hanno permesso di aumentare la sensibilità dei marketers riguardo alla dimensione emotiva dei consumatori, soprattutto relativamente al food. Risulta, difatti, sempre più evidente per gli operatori del settore l’importanza di far leva sulle emozioni positive e di ridurre al minimo possibile quelle negative per poter rendere ottimale l’esperienza dei clienti.

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