Nike, quando la comunicazione sociale funziona

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Una case study su una delle prese di posizione da parte di un brand più discusse d’America.

Si è sempre parlato dei brand dal punto di vista economico, del loro posizionamento nel mercato e di come tramite una comunicazione sociale efficace ci spinga ad entrare nei loro negozi o sul proprio sito per riempire il carrello e cliccare “Acquista”.

Ma oggi voglio parlare di un aspetto che a volte ci sfugge. 

Voglio ragionare su quel preciso momento in cui un brand decide di prendere una determinata posizione su temi e valori sociali, nonostante si tratti di un’operazione delicata e molto rischiosa. 

Ormai è passato più di un anno dalla prima uscita della campagna pubblicitaria di Nike “Dream Crazy”, in occasione dei 30 anni del payoff “Just do It”, ma basta seguire un po’ più da vicino gli account dell’azienda con il baffo bianco per capire il successo che ha avuto.

Partiamo però dal principio…

Questa è la prima immagine che ritrae il volto di un noto sportivo, tutta in bianco e nero accompagnata dalla frase “Credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto quanto”.

Ok. Ti domanderai che cosa ci sarà di tanto speciale.

Il segreto sta tutto nella scelta del testimonial e sulla potenzialità della sua storia.

Colin Kaepernick è un quarterback afroamericano, ex stella vincente dei San Francisco 49ers. Nel 2016, durante la National Football League, l’atleta fece discutere perché si inginocchiò durante l’inno americano. Un gesto simbolico, un segno di protesta contro il razzismo della polizia americana. Un gesto coraggioso, perché era indirizzato ai poteri forti del football americano, una lobby bianca e conservatrice. La reazione di Trump non si fece attendere e Colin Kaepernick, uno dei giocatori di football più forti, è senza contratto da marzo 2017.

https://www.youtube.com/watch?v=E48hHS-5HyM&t=31s

Brividi.

Quando si dice nello Storytelling:

“Ci sono tante storie nel mondo, basta scegliere quelle giuste”.

Si tutto molto bello, ma una domanda sorge spontanea…

Ma che cosa cambia tra una comunicazione sociale a quella “standard”?

http://gph.is/1LEHSmC

Il messaggio è differente. In quella sociale l’obbiettivo è far commuovere e ritagliare un posticino nel nostro cuore, così da assicurarsi la nostra fedeltà.

Senza dimenticare che però, alla base di tutto,  c’è sempre il profitto.

Penso che l’azienda di Portland abbia una dote nella ricerca e nell’elaborazione della storia.

Scegliere celebrità di un certo spessore come LeBron James e Serena Williams che di per sé hanno appoggiato questa campagna, è stata una mossa astuta e lungimirante.

Interessante e del tutto nuovo, è il modo di raccontare questi talenti: gli ostacoli da superare, le discriminazioni subite, i mille sacrifici per arrivare ad essere quello che sono.

Ad esempio, il video in cui il protagonista è LeBron James, inizia quando era un ragazzino di Akron, Ohio, fino a diventare la leggenda che tutti conosciamo.

I primi secondi del video sono presi da un’intervista del 2003, appena dopo l’NBA Draft Lottery, quando venne scelto da Cleveland, in cui dichiara di non avere nessuna pressione e di non garantire nessuna vittoria.

“No pressure, There is no pressure at all. I’ve been getting pressure since I was 10 years old.”

Ti fanno vedere le sfumature del campione e della star ed è come se ti dicessero: “Guarda, dietro le loro imprese c’è molto altro”.

Geniali.

E non lo dico solo io, parlano i risultati, secondo i calcoli della Edison Trends, le vendite online sono aumentate del 31 per cento fra lunedì 3 settembre – giorno di lancio della campagna – e martedì 4 settembre. L’anno scorso l’aumento di vendite era stato solo del 17 per cento.

È chiaro che non è facile raccontare la filosofia del brand e, nello stesso tempo, far capire di aver sposato determinate cause e valori senza incappare in gaffe o disastri pubblicitari.

Ci sono tantissimi brand che si sono buttati in cause sociali per stabilire una connessione emotiva con i consumatori:

  • Coca-Cola
  • Benetton
  • Ikea
  • Diesel
  • H&M

Ora però, guardiamo insieme i numeri per renderci subito conto dell’importanza e la complessità di una comunicazione sociale.

grafico comunicazione sociale
Dati estrapolati dall’analisi fatta da Nielsen sulla Brand Reputation

Considerando il grafico, la domanda che ci dobbiamo porre è: se intraprendere una campagna sociale sia per tutti o meno.

La risposta è No, non è per tutti. Solo le grandi aziende possono perché le analisi da fare sono tante e i danni derivanti da un flop pubblicitario possono essere di più.

Qui di seguito, ho stilato i 3 punti fondamentali alla base di una campagna sociale:

  • Un’accurata conoscenza del proprio target e dei suoi comportamenti d’acquisto;
  • Essere un’azienda capace di reggere l’urto di una contro-campagna;
  • Coraggio.

Sebbene può sembrare scontata, questa lista è essenziale per affrontare questo tipo di comunicazione sociale nel miglior modo possibile, causando risvolti sociali positivi se azzeccata o ad avere uno scudo protettivo se le cose si mettono nel verso sbagliato.

Quindi, Just do it, no?

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