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Se stai leggendo questo articolo probabilmente ti sarà capitato di credere ad una notizia falsa. Riflettici un attimo e ripensa al momento preciso in cui hai saputo che fosse falsa. Forse l’imbarazzo misto allo stupore ti avrà fatto pensare “ci sono cascato anch’io” anche se eri convinto di saper distinguere perfettamente il vero dal falso. Eppure, a tutto questo c’è anche una ragione psicologica: vieni con noi per saperne di più sulla psicologia della disinformazione.
Prima di cominciare ti ricordiamo che questo articolo fa parte del progetto Social Education curato da MarketingEspresso in collaborazione con University Network e il Movimento Etico Digitale.
Perché lo facciamo, maggiori info e tutti i dettagli del progetto sono leggibili qui.
Premesse fatte, iniziamo!
Spinoza ci aveva avvertiti
Dobbiamo condividere una cosa con te sul quale forse hai già avuto modo di riflettere, ma se così non fosse è una buona occasione per farlo.
Anche se pensiamo che tutte le notizie fake siano palesemente false, in realtà il fenomeno dell’information disorder – il nome esatto di quelle che comunemente chiamiamo fake news – è più complesso di quanto pensiamo. Infatti, se c’è una cosa che accomuna le notizie false è che sono sì false, ma credibili.
Ammettiamolo, siamo abituati a pensare che chi crede alle fake news sia una persona poco attenta, di mezza età e poco avvezza all’utilizzo dei social media.
Spoiler: anche questa è una semplificazione.
Nello spiegare perché siano credibili e perché ci caschiamo spesso potremmo chiamare in causa molti aspetti, come l’indubbia qualità di alcuni giornali o la poca attenzione che noi lettori dedichiamo ai contenuti che leggiamo.
Ma c’è una cosa che viene prima di tutte e che costituisce la prima ragione cognitiva per cui crediamo alle false notizie: le costruzioni mentali del nostro cervello. È sulla base di queste costruzioni mentali che siamo capaci di creare simulazioni della realtà partendo dal presupposto che ciò che pensiamo sia anche, automaticamente, vero.
La psicologia della disinformazione parte da questo assunto, ma non è tutto.

Bella scoperta, ma c’è di più
Nel suo libro Fake News: Sicuri che sia falso? Andrea Fontana ci dice che pensare vuol dire soprattutto due cose:
- mescolare le informazioni (blending cognitivio)
- credere ad alcune informazioni piuttosto che ad altre (sistema di credenze)
Questo è vero soprattutto nell’epoca dell’ipermedialità in cui siamo sottoposti ad un sovraccarico informativo così ampio, che supera la nostra normale capacità di elaborazione delle informazioni.
Cosa centra in tutto questo Spinoza? Semplice! Riteneva che conoscere un’informazione equivalesse già a credere ad essa.
Ora, se uniamo questa interpretazione del filosofo con la definizione di pensare prima citata (se non te la ricordi la ripeto qui. Pensare = credere + mescolare le informazioni) si comprende quanto il problema della disinformazione sia di difficile interpretazione e risoluzione.
Detto in sintesi: le notizie, anche quelle false, non nascono dal nulla ma poggiano su una visione del mondo che, reale o meno, esiste dentro di noi e sulla base della quale leggiamo la realtà.
La psicologia lo conferma
Ok, non ce la caviamo semplicemente col dire che la disinformazione è un fenomeno complesso.
Pensate che la psicologia e le neuroscienze hanno dedicato ampio spazio a capire perché crediamo in ciò che non ha dimostrazioni e hanno portato alla luce alcune scorciatoie mentali che mettiamo in pratica ogni giorno, anche se non ce ne accorgiamo, e che formano ciò che finora abbiamo chiamato psicologia della disinformazione.
Ricapitoliamo: abbiamo visto che la prima ragione cognitiva ha a che fare con la predisposizione a pensare che ciò che conosciamo sia anche, automaticamente, vero.
Per darti un quadro più completo, e capire il modo in cui prendiamo le nostre decisioni, ti propongo altre ragioni cognitive alla base della psicologia della disinformazione.
1. Avarizia Cognitiva
Sai come si dice? Minimo sforzo, massima resa!
Il nostro cervello funziona più o meno così ed è un vero e proprio avaro cognitivo.
In questo campo il termine avaro ha un significato inedito ed è usato per designare la tendenza del nostro cervello a minimizzare o evitare gli sforzi cognitivi. Le conseguenze le possiamo immaginare: tendiamo a risolvere i problemi nel modo più semplice e meno faticoso possibile per evitare i processi e gli sforzi più faticosi dal punto di vista cognitivo.
Questo vale per tutti, ma non spaventiamoci. La tendenza alla semplificazione e alla velocità è stata una naturale evoluzione della nostre specie che ha imparato a prendere decisioni in maniera rapida e ad utilizzare metodi semplici per risolvere i problemi.
Pensate però cosa può succedere quando tutta la velocità e la semplicità incontrano il complesso ecosistema dell’informazione attuale.
A noi viene in mente un cortocircuito! A te?
2. La teoria del Doppio Processo
Per spiegare questo paragrafo ci serve la tua attenzione perché ci piacerebbe che ti ricordassi di queste parole quando ti troverai a prendere decisioni e valutare ciò che leggi. Quindi, sei pronto?
Abbiamo appena detto che tra il facile e il difficile scegliamo ciò che è più semplice. Per dirla in maniera più completa devi sapere che abbiamo due modi di pensare chiamati sistemi:
- Il sistema 1 è automatico e involontario
- il sistema 2 è un processo analitico e richiede maggiori sforzi cognitivi
Indovina quale scegliamo?
Esatto!
La teoria del doppio processo ha dimostrato che tra i due sistemi tendiamo a scegliere il sistema 1, cioè quello più semplice e involontario che ben si adatta alla velocità dei nostri tempi. Al contrario, il sistema 2 è per definizione lento e volontario e di conseguenza meno utilizzato.
Dopo tutta questa teoria, facciamo un esempio pratico.
Adottando spesso l’elaborazione automatica delle informazioni è evidente che alcuni dettagli cruciali della notizia che leggiamo possano non essere elaborati correttamente. Ad esempio, tendiamo a ricordare l’evento che abbiamo letto o sentito, ma dimentichiamo che si trattava di una notizia falsa o smentita.
Inoltre, devi sapere che le notizie false rimangono impresse molto più di quelle vere (perché fanno leva sulle emozioni, chiaro) e che in rete circolano sei volte più velocemente di queste ultime. Lo sapevi?
3. Bias di conferma
Alzi la mano chi li ha già sentiti nominare. Lo so a cosa stai pensando: se ne parla ormai ovunque. Ma se sono così citati forse vale la pena conoscerli e soprattutto riconoscerli.
I Bias di conferma sono quei pregiudizi cognitivi che ci portano a credere solo alle informazioni in linea con la nostra visione del mondo e a scartare tutto ciò che la contraddice.
Detto in altre parole: crediamo solamente a quello che conferma le nostre credenze. Tutto il resto? Non ci interessa poi così tanto. Va da sé che questo influisce nella vita di tutti i giorni e orienta costantemente l’attenzione che dedichiamo a ciò che leggiamo.
Siamo naturalmente attratti da ciò che sappiamo già e tentare di uscire dalla propria area di protezione – al di fuori del quale gli altri hanno altri valori e credenze – è un rischio che non sempre siamo disposti a compiere.
Per farlo può essere utile iniziare a prendere confidenza con la psicologia della disinformazione.

Se vuoi approfondire
Finora abbiamo omesso una cosa importante, che dovreste aver letto tra le righe: anche se il web è stato spesso accusato di aver creato le cosiddette fake news, in realtà esse sono sempre esistite e non sono un fenomeno recente.
Pensa a quante volte hai sentito in giro una notizia poco accurata e ci hai creduto sulla parola.
Certo, l’infrastruttura del web ne ha aumentato la portata. In effetti, quello che è veramente cambiato è la velocità con la quale si propagano (sei volte più velocemente di quelle vere, ricordi?). Se la velocità della rete incontra la nostra modalità di pensiero, spontanea e immediata, il gioco è fatto.
Tutto questo non sta passando inosservato agli esperi di comunicazione che tentano di approfondire un fenomeno dalle mille sfumature. Per saperne di più ti consiglio di dare un’occhiata al Frist Draft, un progetto nato per per proteggere dalla disinformazione e che ci dà qualche strumento per distinguere il vero dal falso.
Vedrai, sarà un ottimo allenamento per saperne di più sulla psicologia della disinformazione.
Intanto, se ti sei perso il primo articolo di Social Education leggi anche: Social Sharing: ecco perché condividiamo sui social media.