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Introduzione
Quanto tempo impieghiamo a cercare contenuti validi per i nostri piani editoriali?
Sicuramente tanto.
Ci inventiamo rubriche, challenge, hashtag, studiamo all’invero simile il nostro target.
Non solo, ci spingiamo oltre, analizziamo le loro ricerche più frequenti attraverso strumenti quali “answer the public” e non contenti controlliamo anche le strategie dei nostri competitor.
Ma perché facciamo tutto questo?
Sì, è vero, vogliamo trovare contenuti realmente interessanti per il nostro pubblico, ma ciò che in fondo desideriamo è differenziarci dagli altri, dimostrare la nostra unicità.
Per farlo scomodiamo tutta la nostra creatività, rivediamo il brief con il cliente e passiamo intere mattinate in riunione per cercare quell’idea originale che ci faccia spiccare nella marea di contenuti in cui siamo quotidianamente sommersi.
È incredibile come noi tutti, alle volte, ci dimentichiamo del contenuto più originale di tutti, davvero inimitabile che è sempre stato sotto i nostri occhi: la nostra storia aziendale.
Niente è più originale di ciò che siamo.

Storytelling non cronistoria
La storia del nostro percorso è unica e inimitabile, saperla raccontare in modo avvincente e stimolante ci permette di creare una connessione emotiva con il nostro target.
D’altro canto, oggigiorno, è ancora valido presentarsi ai nostri potenziali clienti mostrando una serie di numeri sulle nostre performance aziendali?
In un saggio dal titolo “Storie contro Statistiche” pubblicato sul New York Times, il matematico John Allen Paulos ci spiega come le storie vincano sui dati e sulle statistiche per una questione di fiducia:
“Quando ascoltiamo le storie tendiamo a placare la nostra diffidenza per continuare ad ascoltare. Al contrario, quando siamo di fronte a statistiche e numeri, abbiamo la reazione opposta di abbassare la nostra soglia di fiducia per paura di essere ingannati”.
Dalla fiducia si ottiene credibilità, e dalla credibilità si ottiene l’ascolto. Le aziende non chiedono altro.

Ma questa equazione, tanto semplice a dirsi, quanto difficile a farsi, presuppone una corretta narrazione della propria storia aziendale.
Il nostro percorso non può, e non deve, essere rappresentato come una cronistoria di fatti e date, questo al nostro pubblico non interessa.
Agire secondo questa modalità, può provocare un effetto opposto a quello sperato, possiamo risultare antipatici e sconfinare nell’autoreferenzialità.
Il nostro target vuole sapere il perché delle nostre scelte, quali sono state le nostre motivazioni. Dobbiamo far trasparire le nostre paure e le indecisioni che ci hanno accompagnato durante ogni nostro passo perché questo crea empatia e quest’ultima è l’unico vero passepartout per entrare nella mente dei nostri clienti.
Da dove partire
Appurata l’importanza del saper raccontare la nostra storia aziendale, dobbiamo ora capire da dove iniziare per narrarla.
Certamente dalle fonti.
Individuare le fonti adeguate da dove far partire la nostra narrazione però non è affatto semplice. Molto dipende dalla nostra capacità di porci le giuste domande.
Questo step di ricerca deve essere guidato dalla nostra volontà di risalire alle nostre origini. Ogni azienda, grande o piccola che sia, è nata da un sogno, da un’idea, da un progetto, da uno schizzo disegnato su una copertina di un giornale di enigmistica comprato in un autogrill da un viaggio di ritorno.
Insomma, tiriamo fuori le nostre origini umili, riducendo, come espresso dall’autore di “Likeable”, Dave Kerpen, la distanza tra l’organizzazione aziendale e l’esperienza di vita dei nostri clienti.

Raccontare tutto, ma proprio tutto
Per fare un lavoro certosino, dobbiamo essere critici nell’analizzare le nostre fonti e saperle contestualizzare. La storia aziendale è la storia dei prodotti, dei clienti, dei collaboratori, è umana e come tale è costellata da successi ed errori, quest’ultimi devono essere riportati quasi fedelmente.

Si è vero, non sembra una buona idea raccontare anche dei nostri insuccessi e quindi perché farlo?
Semplicemente perché la sincerità è disarmante.
Qualsiasi dichiarazione negativa che facciamo su noi stessi viene accettata come verità quasi all’istante. Le affermazioni positive invece, nel migliore dei casi, vengono considerate dubbie.
Ammettere l’esistenza di un problema è qualcosa che pochissime aziende fanno. Quando ciò avviene, i consumatori, quasi per istinto, empatia o intelligenza emotiva aprono la mente.
Una volta aperta la mente, siamo messi nelle condizioni di inserirvi un elemento positivo, cioè la nostra proposta di valore.
Questo è una delle leggi del marketing, anzi, una delle immutabili leggi del marketing di Al Ries e Jack Trout.
Storia aziendale: Spunti per comunicarla correttamente e benefici ulteriori
Bene, ora che sappiamo le fonti e cosa raccontare, non ci resta da capire come comunicare la storia aziendale.
Gli esempi tratti dal reale ci raccontano di musei e archivi aziendali come i mezzi preferiti dove conservare la storia aziendale quasi come una reliquia.
Ma dove sono i vantaggi di una tale gestione?

Così facendo, si rischia solo di disperdere quel patrimonio di conoscenze e di esperienze che non solo può essere usato per trasmettere valori aziendali, ma anche per favorire fenomeni di empowerment aziendale nonché l’attrazione dei talenti.
Per empowerment aziendale si vuole intendere il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei collaboratori aziendali nei confronti dell’azienda. Il concetto rientra in senso lato nella sensazione di appartenenza alla cultura d’impresa.
A questo si collega anche la tematica dell’attrazione dei talenti, quest’ultime promettenti risorse saranno maggiormente invogliate a sposare un progetto proposto da un’impresa con cui condividono idee e valori di fondo.
Nel concreto, la storia aziendale, nell’era dei contenuti, deve essere condivisa nei social tramite rubriche, video e podcast. Quest’ultimo formato è particolarmente interessante perché più di altri si presta ad uno storytelling aziendale.
In questo frangete gioca un peso specifico la creatività con cui si comunica: la scelta dei mezzi e dei canali è già di per sé una comunicazione aziendale.
Caso studio: Chanel
Come concludere al meglio questo contributo se non riportando una best practies in tal ambito?
Scomodiamo una delle aziende più importanti del settore moda e beni di lusso: Chanel.
L’azienda ha deciso di comunicare la propria storia aziendale attraverso uno storytelling basato su video. L’arco narrativo si compone di più capitoli lasciando suspance nel suo fruitore.
Di seguito, vi condivido il capitolo cinque, forse il più significativo.
Nel video viene presentata la storia della fondatrice, l’iconica Coco Chanel.
La musica, il ritmo e l’animazione grafica conducono lo spettatore in un mondo fiabesco, l’immagine viene rafforzata dalla voce narrante che racconta usando una locuzione tipica di queste produzioni: “C’era una volta”.
D’altronde, ogni grande storia inizia così.
Grazie a questa narrazione incalzante, viene presentata la vita di Coco Chanel e le scelte che l’hanno portata ad iniziare la propria avventura imprenditoriale. Vengono presentate le debolezze e le difficoltà che la donna ha dovuto affrontare, ma ogni elemento viene preso ed esaltato per rafforzare il mito e lo stile legati a Chanel.
Conclusione

Tutte le aziende possiedo una loro storia da raccontare, un potentissimo strumento di marketing ancora troppo poco utilizzato.
La sfida oggigiorno non è più farsi conoscere, ma farsi ricordare e niente come le storie possono in questo intento.
Non importa più tanto il come, conta solo iniziare a dare voce a quello che si è stato e il resto verrà da sé, come il lieto fine in una favola perché in fondo è proprio questo che il consumatore ricerca nell’acquisto: un pizzico di storia e di magia.